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La procura di Milano acquisisce illegalmente le chat di Maran: “Il mio caso all’Eurocamera”

La procura di Milano acquisisce illegalmente le chat di Maran: “Il mio caso all’Eurocamera”

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L'eurodeputato interviene dopo la rivelazione del Foglio sugli abusi compiuti dai pm milanesi nell'inchiesta sull'urbanistica: "Valuterò se sollevare la questione al Parlamento europeo". I costituzionalisti: "Per acquisire le chat la procura doveva chiedere l'autorizzazione"

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Ribadisco la correttezza del mio operato, come emerge proprio dalle chat che mi coinvolgono e che sono state riportate sui quotidiani. Prendo atto dell’interrogazione dell’onorevole Enrico Costa e valuterò con i miei legali se sollevare la questione al Parlamento europeo”. Lo dichiara al Foglio l’europarlamentare Pierfrancesco Maran. Ieri su queste pagine abbiamo rivelato come la procura di Milano, nell’ambito della maxi inchiesta sull’urbanistica, abbia acquisito le chat scambiate con il costruttore Manfredi Catella da Maran (non indagato) senza chiedere la preventiva autorizzazione al Parlamento europeo, come stabilito da diverse sentenze della Corte costituzionale. Una palese violazione delle norme poste a tutela del libero esercizio del mandato parlamentare. Le chat, peraltro prive di rilevanza penale, sono state estrapolate dai pm dal telefonino sequestrato a Catella. Nonostante le conversazioni risalgano a quando Maran rivestiva la carica di assessore alla Casa al comune di Milano, la procura non avrebbe potuto acquisirle in assenza di autorizzazione del Parlamento europeo (gli eurodeputati godono delle immunità previste per i parlamentari italiani), come stabilito chiaramente dalla Consulta nelle sentenze sui casi Renzi ed Esposito. Diversi costituzionalisti concordano con i rilievi sollevati dal Foglio.

“I magistrati dovevano chiedere l’autorizzazione al Parlamento europeo”, afferma Salvatore Curreri, professore di Diritto costituzionale all’università di Enna. “L’autorizzazione infatti – spiega Curreri – come ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n. 390/2007, serve a ‘impedire che l’ascolto di colloqui riservati da parte dell’autorità giudiziaria possa essere indebitamente finalizzato a incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività’”.

Sulla stessa linea anche il costituzionalista Luca Longhi: “L’utilizzo, sia pure indiretto, a fini investigativi, di chat che vedono coinvolto un parlamentare (nel caso di specie, europeo), sebbene non indagato, in assenza delle necessarie autorizzazioni della Camera di appartenenza, si pone in palese contrasto con i princìpi affermati dalla Consulta in occasione della cosiddetta sentenza Renzi (170/2023) e poi ripresi nella cosiddetta sentenza Esposito (227/2023), che superavano un precedente orientamento assunto con riferimento alla vicenda Ferri (157/2023). Le garanzie di cui all’art. 68 non devono essere intese, difatti, quali privilegi di natura personale, come una lettura superficiale della norma indurrebbe a pensare, bensì quali essenziali presidi inerenti a un corretto svolgimento della funzione, a tutela del principio democratico (articoli 1 e 67 della Costituzione)”.

“Le richiamate sentenze hanno chiarito che le chat rientrano a pieno titolo nell’ambito di applicazione dell’articolo 68, comma 3 della Costituzione”, prosegue Longhi. “La divulgazione di conversazioni private, a maggior ragione se prive di rilevanza penale, come nel recente caso milanese, costituisce non solo un’indebita invasione di campo da parte della magistratura (e di una parte della stampa), ma anche, proprio in considerazione del loro contenuto, uno svilimento della funzione parlamentare agli occhi dell’opinione pubblica, funzionale solo ad alimentare in seno alla collettività un sentimento di antipolitica che nuoce alla democrazia”.

“Non vi è dubbio, poi, che, considerata la loro peculiare natura, le conversazioni intercettate rappresentino un flusso ininterrotto e non una mera corrispondenza epistolare, come ad esempio per le lettere tradizionali, e che, dunque, non si possa stabilire una soluzione di continuità nelle comunicazioni in questione. Pertanto, a nulla vale eccepire la circostanza che le stesse si riferiscono a un periodo precedente all’elezione dell’interessato alla carica di parlamentare, poiché la garanzia in questione mira a evitare condizionamenti attuali nell’esercizio della funzione, anche perché la captazione delle chat presuppone verosimilmente la conoscenza anche di eventuali comunicazioni successive all’intervenuta elezione”, afferma il costituzionalista.

Del resto, la Corte costituzionale nella sentenza Renzi ha previsto una procedura molto precisa da seguire: gli organi investigativi, ha stabilito la Corte, hanno tutto il diritto di sequestrare smartphone e dispositivi informatici di terzi, “ma nel momento in cui riscontrano la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza”. La procedura non è stata seguita nel caso delle chat che coinvolgono Maran.

I pm milanesi titolari dell’indagine, dopo essersi molto concessi ai microfoni dei giornalisti nei giorni scorsi, si sono trincerati nel silenzio. E chissà se qualcuno (dal Guardasigilli Carlo Nordio alla commissione giuridica del Parlamento europeo) deciderà di occuparsi del caso, reagendo a un’indebita esondazione della magistratura che mette in pericolo il libero esercizio del mandato parlamentare, dunque la democrazia stessa.

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